Greenwashing: la prima sentenza in Italia. Le basi per una rinnovata comunicazione ambientale.

É successo a Gorizia, lo scorso novembre è stata emessa la prima ordinanza cautelare di un Tribunale italiano in materia di greenwashing, una tra le prime d’Europa. Dopo i provvedimenti del Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria e dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, anche la magistratura si è espressa.
La sentenza dice che un’azienda deve provare scientificamente ciò che proclama in uno spot commerciale quando cita il concetto di sostenibilità. Questo precedente cambierà inevitabilmente, a maggior protezione e tutela dei consumatori, l’approccio alla comunicazione ambientale. I green claim, gli spot sulle presunte qualità sostenibili di un prodotto o di un’azienda, non potranno più essere “vaghi, generici o esagerati”.

Greenwashing è un termine sempre più familiare, si tratta dell’uso distorto della sostenibilità ambientale a fini promozionali, attraverso messaggi pubblicitari che non rispecchiano la realtà oppure dove le informazioni non sono verificabili.

In un report della Commissione europea del gennaio 2021, emerge che la metà dei green claim analizzati online, presentano segni di illiceità. Di questi il 40% con affermazioni generiche e il 60% con dati non verificabili. Il tema è caldissimo perché gioca con la sensibilità crescente dei consumatori. Secondo un ulteriore studio, infatti, quando acquista un prodotto, la metà dei consumatori cerca informazioni sulla confezione per sapere se il prodotto sia ecologico o meno. Nei tre paesi più sensibili – Italia, Polonia e Spagna – 6 consumatori su 10 preferiscono un prodotto con un’etichetta ambientale. Quasi due terzi (61%) dei consumatori, però, dichiara di avere difficoltà a capire quali prodotti sono veramente eco-friendly sulla base delle informazioni presenti. È quindi evidente come slogan non veritieri influenzino i comportamenti dei consumatori e degli investitori, danneggiando la competitività.

Vediamo ora il caso Italiano. I giudici hanno accolto il ricorso presentato da Alcantara, brand italiano specializzato in tessuti ad alto contenuto tecnologico per il rivestimento d’interno di autoveicoli (e altro), contro la friulana Miko che realizza un rivestimento concorrente.
È stato riconosciuto che le espressioni “scelta naturale”, “amica dell’ambiente”, “la prima e unica microfibra che garantisce eco-sostenibilità durante tutto il ciclo produttivo”, “microfibra ecologica” erano pubblicità ingannevoli con lo scopo di attirare attenzione e gradimento da parte degli stakeholder e aumentare quote di mercato. L’accusa è di “ambientalismo di facciata”: il Tribunale cita l’articolo 12 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, secondo cui “
la comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili“. Con questo riferimento si procede verso la tutela non solo del cittadino ma anche delle altre imprese. Sulla base di tali principi, il Tribunale ha ordinato a Miko di astenersi dalla diffusione dei messaggi pubblicitari contestati, nonché di pubblicare l’ordinanza del Tribunale sull’home page del proprio sito per 60 giorni consecutivi e inviare copia della stessa ad alcuni clienti.

La definizione “sostenibile” quindi non definisce, non quantifica ma resta generica: sì all’uso di questa definizione se c’è prova e descrizione di una metodologia di produzione effettivamente sostenibile. Il claim pubblicitario green dove essere circostanziato. Chiarezza, veridicità e accuratezza scientifica sono le qualità che il Tribunale, e non solo, riconosce necessarie per una corretta comunicazione ambientale.


Hai bisogno di una strategia di branding?

Scrivi direttamente a Marco Gusella, clicca per contattarlo via mail.

 

Condividi su: