Cosa sono i bias comportamentali e come usarli per distinguersi

Le scienze comportamentali, il neuromarketing e la psicologia sono ambiti strettamente legati al branding, alla comunicazione e al marketing nella sua accezione più ampia. La prima domanda che dobbiamo porci quando studiamo una strategia è: quali sono le dinamiche psicologiche che regolano il comportamento d’acquisto del cliente?

Nel settore delle vendite si dice infatti che nei primi secondi i nostri interlocutori si fanno un’idea di noi creandosi un’opinione ben precisa. Se il primo impatto sarà positivo questo, per via dell’halo effect si estenderà a tutto ciò che faremo e diremo. L’effetto alone è uno dei tanti bias cognitivi che il cervello utilizza quotidianamente.I bias cognitivi sono delle distorsioni che mettiamo in atto in fase di valutazione di fatti e avvenimenti. Il significato in italiano è pregiudizio e l’etimologia del termine è francese e vuol dire “obliquo”, “inclinato”.

Si tratta di “correzioni” della realtà che partono da stereotipi derivanti da esperienze e concetti preesistenti. Ogni giorno, dobbiamo affrontare scelte, prendere decisioni e applichiamo un approccio “euristico”, ovvero un approccio che comprende strategie, tecniche e processi creativi per trovare una soluzione. Un approccio logico-scientifico sarebbe oneroso da sostenere e, applicato a tutte le decisioni diverrebbe insostenibile, dunque usiamo metodi più rapidi. I bias sono quindi scorciatoie che il nostro cervello utilizza per risparmiare energia. Per la maggior parte sono escamotage corretti ma in alcuni casi ci possono condurre a errori di valutazione. Senza questo meccanismo tutto sarebbe più complesso, perché ci consente di riconoscere una certa situazione e trovare la soluzione rapidamente.

Alcuni studi contano oltre 200 bias cognitivi e uno dei più comuni e famosi, molto utilizzato nel branding, è il cosiddetto Effetto Pratfall, studiato nel 1966 dallo psicologo sociale dell’Harvard University Elliot Aronson.
Insieme a un team di psicologi riprese un attore impegnato in una serie di domande a quiz. In questo video, l’attore rispondeva correttamente al 92% delle domande e, finito il quiz, fingeva di versarsi per sbaglio addosso una tazza di caffè. La registrazione fu mostrata a due gruppi separati di studenti e solo a uno dei due venne proposta la scena in cui rovesciava il caffè. Il gruppo dove l’attore risultò più simpatico fu quello a cui venne mostrato il video completo di rovesciamento, proprio perché l’incidente maldestro rese il concorrente più accessibile e più umano. Ne intuirono che le persone diventano più attraenti quando mostrano i loro difetti.

Questo effetto riguarda ovviamente anche i prodotti, motivo per cui è diventato una strategia di branding fortemente differenziante. Replicando uno studio inedito di Adam Ferrier due ricercatori hanno chiesto a 626 persone quale tra due biscotti preferissero. I biscotti erano identici a parte una piccola differenza: uno aveva il bordo ruvido, l’altro perfettamente liscio. Il 66% delle persone intervistate preferiva ill biscotto con il bordo ruvido. La piccola imperfezione non sminuì il suo fascino anzi, lo potenziò.

L’Effetto Pratfall è quindi applicato in diverse strategie di marketing in cui si sfruttano in modo positivo le imperfezioni, ammettendo e addirittura ostentano i propri difetti. Tra le prime applicazioni di successo, troviamo negli anni ’60 la campagna pubblicitaria americana del Maggiolino, della Doyle Dane Bernbach. L’aspetto dell’auto veniva deriso mostrando la foto del modulo lunare Apollo, con lo slogan: “È brutto, ma ti ci porta.”


La rivista di settore Ad Age ha classificato quest’ultima pubblicità come il miglior annuncio del XX secolo e, ancora più interessante, nel 1963 Volkswagen ha venduto negli Stati Uniti più di quanto qualsiasi altro brand importato avesse mai venduto.

Questa strategia funzione perché:

  • Ammettere le debolezze rende i brand più umani. (Siamo in un’epoca in cui prevale la riscoperta dell’autentico).
  • I brand non sono infallibili. Se un brand non ha timore di mostrare un difetto, per lui non è una debolezza.
  • Ostentare i difetti del prodotto/servizio rende più credibili altre affermazioni del brand. I migliori slogan sfruttano l’effetto di compensazione: ammettendo una debolezza, un marchio stabilisce in modo credibile un attributo positivo correlato.

Un altro campo di applicazione, oggi di grande interesse, dell’effetto Pratfall sono le recensioni, soprattutto quelle non proprio benevole. Uno studio del 2015 dello Spiegel Research Center della Northwestern University ha analizzato oltre 100 mila recensioni di prodotti studiando il collegamento tra le valutazioni e la probabilità di acquisto. La possibilità di acquisto raggiungeva il picco quando i punteggi erano 4.2-4.5 su 5.
Le valutazioni perfette risultano perciò troppo belle per essere vere mentre le recensioni meno positive aiutano a trasmettere fiducia e autenticità ai consumatori.


Hai bisogno di una strategia di branding?

Scrivi direttamente a Marco Gusella, clicca per contattarlo via mail.

 

Condividi su: